Mettendo insieme il titolo di questo post e la foto, la maggioranza dei lettori avranno pensato a un malizioso gioco di parole; non è cosi.
O meglio: la prima cosa che mi è venuta in mente seguendo il dibattito di ieri sera sulle elezioni europee, non riguarda l’uso proprio o improprio che l’uno o l’altro fanno della lingua, ma il diverso modo di considerare le questioni della politica e il linguaggio conseguente, lontani anni luce l’uno dall’altro.
Da una parte c’è Bruno Vespa, legato alle logiche di una classe politica fatta di proclami, di promesse, di programmi complessi e articolati; il maggiordomo di tutti i “colletti bianchi” che da decine di anni popolano il suo “salotto” sciorinando concetti incomprensibili, volontariamente complicati e inarrivabili, al punto di non poter essere valutati oggettivamente dalla gente comune, nella maggior parte dei casi.
Promesse e progetti, che in genere si dissolvono all’uscita dello studio televisivo.
Dall’altra Beppe Grillo, un uomo di spettacolo, che ha fondato il suo successo nella continua contestazione di quelle logiche e che deve l’affermazione del suo Movimento al linguaggio più popolare, facilmente decifrabile e all’oggettiva onestà politica e intellettuale dei suoi candidati, a prescindere dagli eventuali meriti e capacità.
In mezzo c’è la classe politica attuale, il cui livello è sotto gli occhi di tutti, nella quale le infiltrazioni mafiose e criminali non sono più un’eccezione, ma sembrano ormai una disgustosa regola; e laddove non vi siano, nel migliore dei casi è l’incompetenza a farla da padrona.
Ovvio che Grillo fonda il suo progetto politico sul “reset totale”, concetto difficilmente assimilabile dal padrone di casa, e comprensibilmente a lui scomodo, temendone le conseguenze.
E così, la serata è scivolata via tra domande incalzanti del conduttore (su quelle logiche), e le risposte necessariamente generiche dell’ospite, che insisteva sul suo concetto di base, forte di una larga condivisone dell’opinione pubblica.
Di fatto, salamelecchi di rito a parte, parlavano due lingue diverse: Vespa non ha inteso cedere sul principio di Grillo e viceversa.
In buona sostanza Grillo pone l’onestà dei suoi candidati a un livello superiore rispetto ai programmi, e basa la sua campagna elettorale facendone manifesto prioritario, relegando la bontà di quest’ultimi quale conseguenza della sostituzione integrale della classe politica con una nuova, motivata da sani principi di servizio pubblico, al contrario di quella attuale, ormai smascherata nei suoi intenti lobbistici criminosi, che alimentano da tempo le cronache quotidiane.
Ovvio che su questo territorio il leader del Movimento 5 Stelle ha buon gioco, francamente è assai arduo poterlo contraddire; l’unica arma che rimane all’intervistatore è insistere sui programmi, nel tentativo di spostare il discorso su argomenti più ostili, difficili da spiegare per bene nei tempi televisivi, impossibili poi da confrontare con la realtà dei fatti, ma che sono stati da sempre le fondamenta delle campagne elettorali dei politici imbonitori di professione.
Grillo ha puntato tutta la sua posta sul cambiamento, e sulla conseguente bonifica del Palazzo quale elemento essenziale, preminente allo sviluppo di nuovi programmi politici nell’interesse del Paese, specificandone ad oggi soltanto le linee guida.
Avrà ragione?
E’ certo che una larga parte dei cittadini, ora per lo più giovani, gli credono.
Domenica prossima sapremo quanti italiani decideranno di seguirlo e scommettere sul ribaltamento della classe politica così come oggi la conosciamo.
Assisteremo a quest’ultima settimana… di fuoco! Préstamo rápido!