L’art. 53 della Costituzione Italiana

Firma Costituzione

“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro
capacità contributiva.

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”

L’articolo 53 della Costituzione Italiana è molto chiaro; ma… siamo sicuri?

Come al solito, in un Paese dove sciamano gli azzeccagarbugli, anche le parole più semplici, quelle volute dai nostri Padri Costituenti, sono state nel tempo stravolte del loro significato originale e adattate alle esigenze dei potentati politici ed economici.

Il concetto è comprensibile anche per un bambino:
tutti debbono pagare le tasse, che lo Stato regolerà in modo proporzionale alle singole possibilità dei cittadini.

Ma, lo stato (stavolta con la minuscola), ovvero chi lo rappresenta “pro tempore”, avido di danaro non più per la corretta amministrazione della cosa pubblica, ma per alimentare altri interessi, ha iniziato sin dalla fine degli anni ’60 a “interpretare” il significato delle due paroline chiave del principio costituzionale: “capacità contributiva”.

Cos’è la capacità contributiva lo sappiamo tutti, è istintivo comprenderlo; i limiti che i Padri Costituenti hanno voluto dare al legislatore tributario, inserendo tale concetto sono ineluttabili.

Ma i fenomeni del diritto e della politica, hanno cominciato a sostenere che la capacità contributiva non si esaurisca con il reddito o con un patrimonio speculativo, ma che questa comprenda anche altri fattori collegati ai beni posseduti, come ad esempio l’incremento del valore di un dato bene (es. la casa), o il fatto stesso di possederlo.

Contrariamente ai paesi più evoluti, dove viene incentivata la ricchezza e i consumi, intesi non come mero capitalismo ma come stabilità personale dei cittadini per il benessere comune, i geni della nostra politica, per i loro interessi, sono riusciti nei decenni a ribaltare le conquiste della civiltà, snaturando il significato delle parole dei Costituenti.

Già dagli anni ’60 si è iniziato a giustificare l’introduzione dei balzelli incivili con la scusa che essi rispettavano “indici concretamente rivelatori di ricchezza”, e che quindi potevano considerarsi capacità contributiva;
la Corte Costituzionale, è andata in soccorso di queste teorie con la sentenza n. 155/2001 dove dice che:
“la capacità contributiva non presuppone l’esistenza necessariamente di un reddito o di un reddito nuovo, ma è sufficiente che vi sia un collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione, in termini di forza e consistenza economica dei contribuenti o di loro disponibilità monetarie attuali, quali indici concreti di situazione economica degli stessi contribuenti”;
e ancora con la n. 156/2001:
“rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale”.

Una raffica di supercazzole, che in sostanza hanno avuto lo scopo di cancellare il concetto Costituzionale di capacità contributiva, lasciando campo libero al legislatore di fare sostanzialmente i suoi comodi e di imporre qualsiasi balzello, all’abbisogna.

Il cosiddetto “redditometro” e gli “studi di settore” ne sono la logica, inutile e raccapricciante conseguenza, che hanno prodotto soltanto malessere tra la gente (soprattutto quella per bene che paga le tasse) e un infinito strumentale contenzioso, ove l’ente accertatore (lo stato) è quasi sempre perdente, con la beffa di indebitare maggiormente le casse pubbliche.

Le imposte attuali, e la cancellazione dei diritti costituzionali basilari, sono soltanto la conseguenza:

  • dell’incapacità di questi cialtroni (mi si perdoni la sintesi) nella vigilanza sull’evasione fiscale (con fondato sospetto sul fatto che ciò sia volontario);
  • della folle spesa pubblica, ormai devoluta in buona parte alla soddisfazione delle esigenze delle loro caste.

La soluzione?
Innanzitutto sbarazzarci di chi il problema lo ha generato (vedi precedente post), per poi seguire la logica: riappropriarci della funzionalità intellettiva, della Costituzione Italiana, del buon senso e delegare uomini e donne con la competenza necessaria a riformare questo sistema, ormai allo stremo.

Avremo gli attributi per riuscirci?

Albert Einstein: genio inascoltato

Albert Einstein

Qualche mese fa, nel commentare gli accadimenti dell’Isola di Pasqua, feci riferimento a un recente studio che spiega scientificamente l’involuzione dell’intelligenza dell’uomo negli ultimi duemila anni; ne consiglio vivamente la lettura.

A questo proposito, la vignetta del bravissimo Marco Martellini nel precedente post, illustra il concetto con sagace ironia.

Le vicende politiche delle ultime settimane confermano (purtroppo) quanto sopra.

Una settantina di anni or sono, Albert Einstein ha impiegato una parte infinitesimale della propria intelligenza per esprimere con un semplice aforisma un principio dogmatico, ineluttabile:

“I problemi non possono essere risolti allo stesso livello di conoscenza di chi li ha creati”

Se non bastasse, l’esimio scienziato si è espresso ancora:

“La follia sta nel fare sempre la stesa cosa aspettandosi risultati diversi”

Era il periodo in cui infuriava la seconda guerra mondiale, e il popolo, istintivamente consapevole di questo principio, ha estirpato il nazismo e il fascismo, annoverabili tra le maggiori vergogne della storia del genere umano.

Oggi, al contrario, siamo talmente sciocchi da non capire un concetto così semplice, ma essenziale; e accettiamo passivamente, obnubilati davanti alla tv e ai media di regime, il ritorno, anzi la permanenza alla guida del Paese, delle stesse persone che ne hanno provocato lo sfacelo.

Le generazioni future, successive all’inevitabile “reset”, rideranno di noi.

Reset – La Comunicazione

Reset Comunicazione

Democrazia e Comunicazione libera e indipendente: un binomio indissolubile!

La volta scorsa abbiamo detto che questa che viviamo oggi in Italia non è la vera Democrazia, ma una parola ormai svuotata del suo significato civico ed etimologico.

Il paragone della fuoriserie senza alcune delle sue parti essenziali è calzante; col motore guasto o gli pneumatici sgonfi, anche la migliore supercar rimane ferma, inerte, sorpassata anche da un motorino sgangherato.

Allo stesso modo, perché una Democrazia possa essere ritenuta tale, la Comunicazione deve essere assolutamente libera e indipendente dai poteri forti, soprattutto quello politico e quello economico!

Certo, siamo realisti: pochi sono gli stati dove questo dogma si avvicina al 100%; ma tra il bianco e il nero ci sono infinite sfumature di grigio, e da queste si può valutare lo stato di salute della Democrazia.

Arriviamo al dunque:
non scopriamo certo l’acqua calda se diciamo che in Italia la comunicazione è integralmente in mano ai potentati politici ed economici; peggio ancora: qui da noi la commistione è totale perché addirittura l’economia, la comunicazione, la politica (alcuno direbbe anche la malavita organizzata), sono impastate tra di loro e hanno generato un composto mostruoso che continua a lievitare, che ingloba tutto; un loop autoreferenziato che è necessario interrompere perché ha cortocircuitato il concetto stesso di Democrazia.

Contrariamente a quanto crede la maggioranza delle persone, il male peggiore, sebbene aberrante e da rimuovere immediatamente,  non è il conflitto d’interessi di Berlusconi, ma il finanziamento pubblico dei giornali!
Qualcuno si è mai chiesto perché la politica non ha mai affrontato il conflitto d’interessi del “Cavaliere”?
La risposta sta nel proverbio popolare: “Una mano lava l’altra e tutt’e due lavano il viso”, di più non è necessario dire.

Tutti i giornali italiani sono attaccati alla pompa dei contributi che lo Stato gli eroga, unico caso al mondo!
Non solo: tutti i partiti hanno un giornale o un altro mezzo di comunicazione (radio TV) finanziato dallo stato con leggi “ad hoc”, e quando i potenti devono “sistemare” qualche “amico”, gli fanno aprire una qualsivoglia pubblicazione, finanziata dai nostri portafogli, col doppio vantaggio: di aver adempiuto all’obbligo verso l'”amico” e di trarne una riconoscenza anche dal punto di vista mediatico, quando serve.

Perché andare quindi a rompere questo equilibrio, utile a tutti (loro)?

Ovvio che i media, oggettivamente schiavi del potere, osteggeranno qualunque movimento e/o iniziativa intellettuale o politica che intenda revisionare questa oscenità; i commenti e gli articoli che leggiamo sui principali media nazionali, sono condizionati dai loro datori di lavoro: il composto mostruoso di prima.
Su questo punto non si può fare a meno di solidarizzare con quanto lamentato da Grillo; la ragione non ha colore.

Essi sanno bene che se il potere politico verrà acquisito da una forza estranea alle correnti pastoie, la loro fine sarà pressoché segnata, non essendo strutturati a sopravvivere per merito.

Altrettanto ovvio che nuovi personaggi politici o d’opinione non potranno mai affacciarsi alla ribalta se non “graditi” dall’apparato, o peggio intelligenti e indipendenti, quindi pericolosi; un sistema di autoreferenziazione difficile da intaccare.
E’ come l’animale che difende il proprio territorio a tutti i costi… allucinante ma comprensibile.

Questa breve disamina fa comprendere che la nostra Democrazia è soltanto una parola svuotata del suo significato, e fin tanto che la comunicazione non diventerà libera e indipendente, o quantomeno vi si avvicinerà, il benessere civile sarà solo un miraggio.

E’ un cane che si morde la coda, e continua a roteare su se stesso; bisogna fargli lo sgambetto per farlo smettere.

Reset – La Democrazia

reset

Reset! E’ l’unica parola sensata che riecheggia nei miei pensieri, da qualche settimana più insistentemente del solito.

Per chi cerca di essere il più possibile intellettualmente onesto come il sottoscritto, non è semplice commentare gli eventi che investono il nostro Paese negli ultimi tempi.

Il commento fine a se stesso, ovvero la banalità della facile invettiva non ci interessa; ma anche solo esprimere un giudizio o una semplice opinione sulla situazione politica e sociale è oggi assai complesso, direi forse impossibile.

La sensazione è che si sia persa la bussola a tutti i livelli, e allora mi spingo a ridiscutere la base essenziale della nostra società, e a confrontarmi qui, con chi mi onora di seguire il blog.

Nel corso dei secoli, l’uomo ha cercato di evolversi anche nel modo di amministrare la società in cui vive, valorizzando sempre di più il concetto di “Democrazia” intesa come la parola stessa di origine greca rivela, ovvero “Governo del Popolo”.

Il principio di per se è sacrosanto: ogni popolo ha il diritto di darsi le regole che più ritiene consone a se stesso.

Tralasciamo le questioni legate alla definizione di popolo e di regole (le riprenderemo in un’altro post), e parliamo di Democrazia:
abbiamo detto che il popolo decide quali siano le Leggi e quant’altro debba regolare la convivenza di tutti i cittadini; questo avviene attraverso l’elezione dei propri rappresentanti, che su indicazione del Popolo sovrano, provvederanno ad emanare Leggi e altri provvedimenti ai quali tutti i cittadini dovranno attenersi.
Il sistema è quello della maggioranza che governa su tutti, compresa la minoranza anche se dissenziente.

Come già detto, in linea di mero principio, la questione non fa una grinza, la Democrazia è ormai intesa come dogma imprescindibile; e allora:
perché noi ci troviamo in questa situazione?
Perché questa crisi globale a tutti i livelli?
Perché la nostra sensazione è quella di essere soggetti a enormi ingiustizie?

E potremmo aggiungere altri infiniti perché; tutti figli di un’insoddisfazione, conseguenza della classe dirigente inappropriata… perché?

Semplice: perché questa non è la vera Democrazia, ma un surrogato costruito e mantenuto da un coacervo di caste e di interessi collegati, ben lontani dalle vere esigenze del Popolo e della Giustizia delle cose.
E perché, proprio in una situazione come quella che stiamo vivendo, emerge l’unico vero neo della Democrazia: ovvero che non sempre le decisioni della maggioranza sono giuste o eticamente corrette e spesso non rappresentano i veri superiori interessi della comunità.

La democrazia (stavolta volutamente in minuscolo), nel nostro caso è solo una parola, non il principio che rappresenta; è una delle tante parole del vocabolario prese in prestito dalla moderna oligarchia, per mascherarvi dietro una forma di totalitarismo più avanzato, e il mantenimento degli interessi che ne accrescono la solidità.

La Democrazia, se non poggia su basi e principi altrettanto essenziali, rimane una chimera, per noi un illusione; e addirittura potrebbe far nascere una discussione, in seno ai più stolti, sul fatto che fosse la migliore soluzione per il governo del Popolo.

E’ evidente invece che la Democrazia è un dogma irrinunciabile, ma insieme ad essa sono irrinunciabili altrettante regole, essenziali alla sua corretta applicazione, che da noi sono saltate.

In questo caso, come nei sistemi elettronici andati in tilt, è necessario un Reset; un ripristino delle funzioni di base, per far funzionare l’applicazione Democrazia, che non ha versioni ne opzioni!

Nei prossimi giorni approfondiremo questo argomento, e parleremo proprio delle basi essenziali per la Democrazia, che noi abbiamo dimenticato, oppure non ci rendiamo conto della loro importanza.

Potrebbe un’autovettura, pur meravigliosa, camminare senza ruote, o senza carburante?

Ecco: parleremo delle ruote, del carburante, e di tutto quello che abbiamo dimenticato, nonostante sia essenziale per far andare la nostra fuoriserie, ferma ormai sulla piazzola d’emergenza da molto… troppo tempo.

I Giornalisti Italiani

giornalisti italiani

Forse molti di Voi non conoscono i giornalisti italiani, o almeno una buona parte di loro; tanta gente non immagina che l’attuale situazione politica e sociale è anche dovuta alla loro responsabilità.

Pure il termine giornalisti per alcuni è un po’ azzardato, il vecchio dispregiativo “pennivendoli” in alcuni casi è addirittura un complimento, perché in qualche modo li legittima.

Il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione, da una parte ha garantito maggiore pluralismo e possibilità di scelta, ma il prezzo da pagare è stato un generale scadimento della qualità dell’informazione, aggravato dal fatto che gli editori, in genere imprenditori in qualche modo legati alla politica e alle caste, indirizzano i loro “dipendenti” a scrivere guardando all’interesse… dello sponsor!

A questo si aggiunge il fatto che tutti questi spazi in qualche modo devono essere riempiti, e allora si pubblica di tutto: notizie inutili, dichiarazioni di ogni genere senza alcuna selezione, conferenze stampa che non interesserebbero neanche le madri di chi le indice, boutade create per avere visibilità, e gossip a go go.

Ormai la figura del vero giornalista, quello che cerca le notizie interessanti, ne controlla l’attendibilità e le propone al pubblico in modo equilibrato, è relegata a programmi di nicchia, o alle pagine interne dei giornali.
Non parliamo poi del giornalismo d’inchiesta, ormai chiuso in un angolo dalle minacce legali del potente di turno; si contano sulle dita di una mano i pochi che ancora si possono permettere di lavorare con una copertura legale.
La parte del leone la fanno tutti gli altri; pappagallini che ripetono le dichiarazioni dei potenti, ben istruiti dai loro capi.

E siccome sono la stragrande maggioranza, fanno tendenza; ovvero la gente è portata a ritenere che quella sia la normale informazione: prepotente, pettegola, urlata, maleducata, molte volte anche falsa.
Avete mai visto l’assembramento di questi avvoltoi intorno a quella che in quel momento è la notizia che rende?
Si scannano per il boccone più grosso, per quella parola in più che riescono a strappare al malcapitato di turno che magari gli farà guadagnare quei 10 secondi di notorietà, rilanciati da tutti i media.

E le domande? Provate ogni tanto a registrare un’intervista e ripassate le domande: sono sempre le stesse, e sempre più banali.
In molti casi viene stravolto il significato delle dichiarazioni, perché i concetti sono estrapolati da un discorso più ampio che aveva un senso diverso, ma magari non utile per fare cassetta.

E’ un peccato che la gente si sia assuefatta questo sistema di comunicazione, sempre più simile alle chiacchiere da cortile, portavoce delle lobbies, e molto lontano a quello che dovrebbe essere:
la spina dorsale della Democrazia.

Il risultato delle elezioni politiche è lo specchio di tutto ciò; la gente è spaesata, non riesce più a valutare quale deve essere il leader da mandare al governo perché non ci capisce più nulla, e si divide.
Ogni dichiarazione, ogni promessa, anche quella oggettivamente ridicola, viene rilanciata migliaia di volte da migliaia di media; una bugia dopo tante volte che la si dice, diventa apparente verità, pur rimanendo per sempre una bugia, ma è servita a contrastare l’avversario.

Nulla accade poi a chi la dice, a chi promette a vanvera, la maggior parte degli italiani dimentica presto; i politici e i loro lacchè lo sanno e sono sempre pronti a sparane un’altra, e a farci sopra uno scoop!

Tutti ne traggono un vantaggio, tranne noi.

Beppe Grillo: un’occasione mancata

beppe-grillo

La gente non ne può più; l’indegno spettacolo della politica è diventato stucchevole, insopportabile, una farsa non più divertente, tanto che anche i comici più bravi stentano a farci ridere con la satira.

Maurizio Crozza, attualmente il migliore, esprime il meglio di se quando prende in giro Ingroia per la sua apparente indolenza; è l’ottima caricatura che ci fa ridere, non più la satira sull’imbecillità dei politici o sulle loro disavventure giudiziarie, che al contrario ormai ci disgustano.

Beppe Grillo ha invece da tempo scavalcato lo steccato, al pari di Crozza (entrambi Genovesi) è comico brillante e intelligente, supportato da bravi autori, e grande trascinatore di folle.
Lo “scollinamento” nella politica era nell’aria già da tempo, ed è stato accolto da tutti con benevolenza e serio interesse; direi addirittura speranza.

Le grandi idee o i buoni propositi hanno la necessità di essere veicolati, e in genere le persone abili a veicolare le idee non sono le stesse che le partoriscono; ecco la necessità delle cosiddette sinergie: un conto è progettare una cosa, altro è farla conoscere, spiegarla, migliorarla, venderla.

Beppe Grillo in politica è partito con un inestimabile vantaggio: comico di grande successo, ingiustamente vittima dei politicanti degli anni 80 e 90, è rimasto coerente con le sue posizioni, la maggior parte di queste oggettivamente condivisibili da chiunque.
E’ un ottimo candidato a essere portabandiera della “rivoluzione civile”.

Per questo, avrebbe avuto bisogno però di un gruppo di collaboratori sinergici e ben selezionati, che avrebbero dovuto valorizzare il suo talento naturale di acuto comunicatore, dando l’immagine al tempo stesso di solidità intellettuale e maturità politica.
A mio avviso ha fallito entrambe le condizioni; almeno a metà.

La decisione di non avvalersi dei media tradizionali come Radio e TV è un gravissimo errore, posto che egli avrebbe potuto dettare le condizioni della sua partecipazione.
Non c’è alcuna convenienza infatti a non replicare con la stessa potenza di fuoco ai tanti detrattori; con i media più deboli si fa fatica a confutare gli attacchi, la partita va giocata a pari condizioni, e non sempre “fuori casa”.

Sull’immagine poi doveva essere più accorto; gli scivoloni dell’epurazioni, e la mancanza di trasparenza nella selezione dei candidati sono esempi di come abbia minato la sua credibilità, soprattutto nelle fasce della popolazione più moderata e di livello culturale medio alto.
I suoi collaboratori poi, hanno tenuto lontani dal Movimento tutti coloro che avevano una personalità e una preparazione al di sopra di un certo livello, forse per paura o per strategia; di certo questa non può essere considerata una scelta vincente.
Conosco molte autorevoli persone, che non hanno neanche ricevuto una risposta di mera cortesia alle lettere di proposte (serie e circostanziate) che gli hanno inviato.

Grillo è l’unico personaggio che potrebbe conquistare addirittura una larga maggioranza di consensi in un Paese ormai sfiancato dalla corruzione e dal pressapochismo cultural-politico; invece dovrà accontentarsi, se gli va bene, di fare il terzo incomodo, un ruolo inutile per chi da sempre ha dichiarato di non voler fare accordi con chicchessia, posizione peraltro, assolutamente condivisibile.

Per lui, comunque vada, sarà un successo; potrà sempre rivendicare la primigenia di un soggetto politico che al suo esordio ha “spopolato”, senza che dietro vi fossero potentati economici o religiosi;
ma questo, almeno per adesso, non contribuirà a portare sensibili vantaggi ai cittadini.

Un’occasione mancata.

La Schiena Dritta

andrea-scanzi

Raramente capita di vedere giornalisti dalla schiena dritta che non hanno paura a esprimere pubblicamente il loro pensiero di fronte al potente di turno.

La scenetta patetica del politico contrariato che si alza dalla sedia e se ne va nel bel mezzo di un programma televisivo è ormai usuale, ma in genere il giornalista (si fa per dire) lo richiama, si ritrae, lo prega di rimanere, e smette di fare domande scomode; una forma di intimidazione che quasi sempre coglie nel segno.

Andrea Scanzi non si è fatto intimidire e ha risposto come dovrebbe fare qualsiasi vero giornalista: con fierezza della propria opinione.
E si che l’argomento non era leggero, né la presenza della nipote del Duce era da meno; ma l’irruenta parlamentare se l’è cercata.
Ha tentato di sminuire la figura del suo interlocutore che gli ha risposto per le rime, non indietreggiando un millimetro di fronte alla sua sgarbata, volgare reazione.

D’altronde la signora (mi si passi il termine) non è imparentata con Garibaldi o Mazzini, ma con chi ha infamato la reputazione degli Italiani e ha ridotto questo Paese un cumulo di macerie.
Ogni qualsivoglia buona attività egli abbia fatto, non compensa neanche minimamente le atrocità che i nostri progenitori hanno vissuto.

La polemica di questi giorni sulle frasi oscene di Berlusconi, va considerata al di là del suo contesto, perché accende i riflettori su un’altra aberrazione del “berlusconismo”, ovvero potersi permettere tutto, purché si faccia almeno una cosa giusta.

Su questo argomento torneremo, è un principio cancerogeno dei giorni nostri da estirpare con assoluta fermezza!

Oggi però voglio ancora fare i complimenti ad Anrea Scanzi, sperando che molti altri prendano il suo esempio.

Bravo!