L’Isola di Pasqua è una delle tante meraviglie del nostro Pianeta.
In mezzo all’Oceano Pacifico il ribollire dei vulcani ha fatto emergere milioni di anni fa una terra destinata a ospitare un vero e proprio banco di prova della civiltà umana.
Molta gente non conosce la storia dell’Isola di Pasqua, cosa che invece dovrebbe fare; e molti di quelli che la conoscono non si soffermano a riflettere sull’importanza di ciò che è accaduto.
Gli uomini hanno iniziato a popolare l’isola intorno all’anno 1000 d.c.; il luogo era quanto di meglio l’uomo potesse desiderare per vivere.
In pratica non ci sono stagioni, è sempre primavera; la temperatura media è di circa 22 gradi e lo sbalzo termico non supera i 5 gradi in tutte le stagioni dell’anno.
Un vero Paradiso terrestre.
E così era; i migranti, quasi sicuramente di origine Polinesiana, hanno cominciato a prosperare e la loro qualità della vita era eccellente.
Ben presto però, nel breve lasso di qualche secolo, quel Paradiso si è trasformato in un inferno; gli uomini, accecati dal potere e dalla bramosia di imporre il simbolo della loro prosperità (i Moai), non si sono resi conto che stavano depauperando il loro vero patrimonio: la natura e il suo equilibrio.
La costruzione e il posizionamento di queste enormi statue di roccia necessitava di una quantità enorme di legno; finirono così per distruggere tutte le palme che nei millenni avevano trovato nell’isola il loro ambiente naturale e che fornivano gli elementi essenziali per la vita dell’uomo.
Gli studiosi sostengono che addirittura gli abitanti dell’isola sono stati costretti al cannibalismo per sopravvivere, sino a quando il sistema collassò; alla fine dell 1800 non si contavano più di un centinaio di residenti.
Oggi l’isola ospita qualche migliaio di abitanti, con l’avvento del trasporto aereo dalla fine degli anni ’60 la popolazione è cresciuta grazie al turismo e a una lenta ripresa delle attività agricole.
L’Isola di Pasqua (in lingua locale Rapa Nui) può essere considerata un esempio della fragilità del genere umano, di quanto cioè l’uomo sia cieco di fronte al pericolo che i suoi comportamenti possano mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza, e di quanto la preoccupazione della continuità della specie sia oggi, come da sempre, un mero istinto naturale non supportato dalla ragione, che invece sosteneniamo di possedere.
Le crisi e i disagi che sopportiamo tutti i giorni, dovrebbero farci riflettere su come, a fronte di un apparente progresso, la nostra qualità della vita stia lentamente degenerando; un recente studio spiega che il genere umano ha smesso di progredire intellettualmente già quasi duemila anni fa, non per mancanza di capacità, ma per un inquinamento del nostro DNA dovuto proprio a quello che chiamiamo progresso; di questo passo, possiamo quindi dimenticare di poter competere al pari dei nostri “cugini” alieni, che siamo soliti fantasticare.
Ecco che la solidità della nostra società, ma soprattutto la difesa dell’ambiente, sono gli unici baluardi per la nostra sopravvivenza futura; ma, a ben guardare, sono proprio gli elementi che stiamo distruggendo, stupidamente.
Rapa Nui deve essere un monito per tutti noi, una vocina lontana ma insistente che ci dice: “fermatevi, finché siete in tempo!”.
L’ascolteremo?