E’ un luogo comune affermare che il Reo ha sempre un vantaggio rispetto alla Vittima; in Italia sappiamo che questo è maggiormente vero a causa della lunghezza delle indagini e dei processi, che favoriscono oggettivamente i colpevoli, condannando invece le vittime a dover attendere tempi biblici per sperare in un ristoro dei loro diritti lesi.
Ma, c’è un’altra insidia che mina la tranquillità delle Persone per bene, e fornisce un indubbio vantaggio al Reo: il calcolo delle probabilità.
Prendiamo una persona offesa da un reato:
la prima cosa che fa, sporge denuncia presso un posto di Polizia Giudiziaria.
A questo punto, il pubblico ufficiale che prende la denuncia, magari con l’ausilio dei suoi collaboratori, inizia le prime indagini sull’accaduto; sono già una o due persone che si stanno occupando del caso e ne valutano la fondatezza.
Successivamente, la pratica viene passata al Magistrato competente (PM) con una relazione sui fatti, il quale, sulla base di quanto scritto dai pubblici ufficiali che hanno ricevuto la denuncia, decide se proseguire l’indagine con i suoi collaboratori; in caso positivo aggiungiamo almeno due persone.
Se il caso è più complesso della routine, al Magistrato necessiterà una o più perizie, per meglio valutare la questione, che in genere affida a consulenti e professionisti esterni; un’altra persona aggiunta alla lista.
Una volta completata la fase istruttoria, il Pubblico Ministero, decide i provvedimenti da adottare (alcuni provvedimenti cautelari potrebbe assumerli anche durante questa fase), ma ha bisogno del benestare di un’altro Magistrato: il GIP.
Il GIP, è il Giudice per le Indagini Preliminari, che riceve le istanze del PM, le valuta, e decide se concedere o meno le misure richieste; un’altra persona determinante per le sorti della vicenda.
Per proseguire però, il procedimento ha bisogno di un’altro benestare: quello del GUP.
Il GUP è il Giudice dell’Udienza Preliminare, ossia colui che decide o meno se rinviare a giudizio l’autore dei presunti reati, dopo l’udienza preliminare, ove le parti rappresentano le loro difese.
Ancora una persona, chiamata a decidere in una sequenza seriale.
Nel caso in cui il GUP ritenesse fondata la richiesta di rinvio a giudizio, contro chi è indagato, inizia il processo.
Altri Giudici si dovranno esprimere nei tre gradi di giudizio, fino ad addivenire alla sentenza definitiva.
Tutto questo meccanismo, impiega per concludersi mediamente almeno sei o sette anni per i procedimenti di normale complessità; meno per i più semplici (cinque); di più, o molto di più per quelli intricati.
Quindi, oltre ai tempi disumani, si aggiunge anche un’altra variabile, costituita dalle persone che si occupano del caso, e che, in quanto uomini e donne, come tutti noi, sono soggetti alla fallacità, sotto varie forme.
La Magistratura, inquirente e giudicante, in Italia (tempi lunghi a parte) ha un’ottima tradizione di equità e attenzione al diritto; infatti, quando capitano casi eccezionali di errori giudiziari, l’eco è forte e la gente ancora si indigna.
Ma non possiamo ignorare il fatto che “mele marce” esistono ovunque; purtroppo la cronaca molto spesso ce lo ricorda.
Sono certamente una sparuta minoranza, ma purtroppo ci sono, e dobbiamo tenerne conto nel nostro calcolo delle probabilità.
Per “mele marce” non si deve soltanto intendere persone in mala fede, ma anche ad esempio incompetenti o fannulloni, che comunque danneggiano la correttezza del procedimento (oltre che il decoro dell’istituzione), e nella catena non ci sono solo Magistrati.
Ricapitolando:
per arrivare al processo e poi concluderlo, almeno dieci persone diverse (determinanti) devono aver fatto bene il loro lavoro.
In buona sostanza, il Reo, oltre al vantaggio del tempo, può sperare che almeno uno degli anelli della catena che lo porterà alla condanna sia difettoso, oppure esposto al taglio… di una “tenaglia”.
Volendo considerare, per difetto, un semplice 5% di persone “fallaci”, il criminale, per ovvio calcolo statistico, può arrivare ad avere anche il 50% di possibilità di farla franca; che è tantissimo!
Ecco perché, quando sei certo di essere colpevole, conviene sempre “buttarla in caciara”, e se hai a disposizione mezzi di comunicazione influenti, utilizzarli a tuo favore fino in fondo, per intimidire, minacciare, piangere, aizzare le folle; col sistema, ben collaudato e utilizzato anche dalla politica, della cosiddetta “macchina del fango”.
Come si dice spesso a Roma: “che ne sai, magari qualcuno ce casca”!